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Radicchio lungo

STORIA E TRADIZIONE.

 

LA STORIA DI TUTTI I RADICCHI

BREVE STORIA DAL CAPOSTIPIDE RADICCHIO ROSSO DI TREVISO  AI RADICCHI DERIVATI

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LA STORIA DI TUTTI I RADICCHI

BREVE STORIA DAL CAPOSTIPIDE RADICCHIO ROSSO DI TREVISO  AI RADICCHI DERIVATI

Per secoli il radicchio è stato il cibo della povera gente. Ad un certo punto questa comunissima cicoria spontanea delle nostre campagne, quasi per incanto, si trasformò nel più pregiato e ricercato degli ortaggi che crescono nella fredda stagione. Quando è avvenuto questo salto di qualità? Quale il segreto di questa trasformazione? A tali domande hanno cercato in molti di rispondere. Vediamo come. Aurelio Bianchedi, direttore del’Ispettorato Agrario di Treviso, dava per certo in una sua monografia del 1961 che «Se l’origine del Radicchio rosso di Treviso è tutt’ora avvolta nel buio dell’incertezza, la sua storia diventa chiara a metà del XVI secolo quando, per la prima volta in Italia, l’ortaggio meraviglioso venne sottoposto a coltivazione con forzatura in provincia di Treviso e più esattamente in frazione di Dosson del comune di Casier. Attestazioni attendibili lo documentano».Purtroppo però Bianchedi non cita le fonti della sua affermazione, che pertanto dal punto di vista storico resta niente di più che un opinione personale. Prove di una presenza in tempi tanto antichi del radicchio rosso come oggi lo intendiamo (cioè sottoposto al processo di imbianchimento e forzatura) non si trovano peraltro neppure consultando documenti originali dell’epoca, come i libri di cassa del monastero di San Nicolò di Treviso, che proprio a Dosson prima della caduta della Repubblica di Venezia — aveva vari possedimenti. Fra i diversi prodotti della campagna, registrati con cura dai frati, non figura infatti il radicchio.Radicchio che neppure i cronisti antichi citano quando si occupano di Treviso e delle sue specialità gastronomiche. Per tutti riportiamo quanto scrive nel 1554 il medico milanese Ortensio Lando:"Goderai a Trivigi Trippe, e Gamberi del Sue; delle quali cose quanto più ne mangi, più ne mangeresti". E pure il letterato ed erudito trevigiano Bartolomeo Burchelati cita tra le delizie "molto proprie della nostra terra ... le buone lamprede, migliori gambari e ottime tripe". Anche in due noti testi di divulgazione agronomica pubblicati nel ‘700 a Venezia (Cento, e dieci ricordi, che formano il buon fattor di villa di Jacopo Agostinetti e L’accorto fattor di villa di Santo Benetti), del radicchio non si parla. Neppure nelle dettagliate relazioni degli Atti preparatori del Catasto austriaco conservate all’archivio di stato di Venezia (circa 1828) si trova traccia del radicchio rosso.Si dovrà attendere la seconda metà dell’800 per trovare, in un libricino dedicato alle operazioni necessarie per la cura dell’orto nei vari mesi dell’anno, le prime notizie certe sul radicchio rosso. A pag. 72 de L’Agricolo, Almanacco per il 1862, sta scritto che fra i vari lavori del mese di dicembre "si rincalzano i cavoli ed i broccoli, s’imbiancano nella terra coperta di foglie secche i radichi bianchi e rossi . .Per il radicchio rosso di Treviso è finita la preistoria e inizia la storia. D’ora in avanti le notizie si susseguono numerose, quasi a compensare il silenzio e la disistima riservate nei tanti secoli precedenti all’umile cicoria dei campi. Siamo ora in attesa di avere notizie dal più grande degli esportatori italiani, per sapere se la cosa potrà andare. Certamente per quest’anno non sarebbe più possibile una commissione ragguardevole di radicchio; ma per un altro anno non disperiamo di ritentare la prova. Il Commendatore signor Cirio, uomo intraprendente quant’altri mai, potrebbe forse escogitare modi e mezzi di trasporto per facilita re di molto l’esportazione e arrecare un vero beneficio al nostro Comune, nel cui suburbio con tanta cura e passione si coltivano le ortaglie».Ma la consacrazione ufficiale del radicchio rosso come pregiato ortaggio invernale simbolo di Treviso avviene per opera di Giuseppe Benzi. Questi, un agronomo di origine lombarda trasferitosi nel 1876 a Treviso come insegnante all’istituto tecnico Riccati, divenuto responsabile dell’Associazione Agraria Trevigiana darà vita nel mattino di giovedì 20 dicembre 1900 alla prima delle mostre che annualmente la città di Treviso dedicherà alla rossa cicoria proprio sotto la centralissima Loggia di piazza dei Signori. Vincitore della prima edizione sarà Antonio De Pieri detto Fascio, fittavolo della tenuta De Reali di Dosson, a conferma della diffusa voce popolare che identifica in Dosson la patria del radicchio rosso.Da allora ogni anno all’approssimarsi del Natale per una mattina il cuore della città vedrà protagonisti gli uomini provenienti dalle vicine campagne e la Loggia, sia pure per poche ore, assumerà l’aspetto di un coloratissimo giardino d’inverno. La mostra del radicchio accompagnerà l’ultimo secolo della storia cittadina e verrà interrotta solamente in due occasioni:durante la grande guerra, quando Treviso verrà di fatto a trovarsi in prima linea, e negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale. Già nella prima mostra di Treviso un settore fu dedicato «ai cespi di radicchio screziati, simili a bellissime rose, che sanno così perfettamente preparare i coltivatori di Castelfranco». Vincitore fu Ermenegildo Basso da Castelfranco. Nel 1914 una mostra dedicata specificatamente al variegato castellano inizierà a tenersi, e verrà ripetuta ogni anno fino ai nostri giorni, anche in piazza a Castelfranco, organizzata in origine dalla locale Cattedra Ambulante di Agricoltura. A partire dal 1970 alla mostra di Treviso si aggiungeranno tutta una serie di mostre periferiche. Le mostre di Santa Cristina, Preganziol, Zero Branco, Mogliano, Lughignano, Dosson, Rio San Martino di Scorzè, Martellago, pur con tutti i loro limiti di manifestazioni prettamente locali, si sono dimostrate un importante momento di valorizzazione di questo ortaggio, di discussione dei problemi agronomici ed economici ad esso legati, nonché di una sempre maggiore conoscenza delle sue indiscusse qualità gastronomiche. Superba esposizione di radicchio variegato di Castelfranco in occasione dell’annuale ‘fiera del radicchio’ che si tiene nella piazza della città del Giorgione.Abbiamo visto che le prime notizie certe sul radicchio sono apparse attorno al 1860. Ma come si è giunti a trasformare una varietà della comune cicoria (perché di questo alla fin fine si tratta) nel prelibato radicchio rosso? Al riguardo non ci sono testimonianze precise e la leggenda a volte si confonde con la realtà. Molte sono infatti le storie che tuttora i vecchi contadini amano raccontare in quello che ben a diritto può essere considerato come il luogo d’origine del radicchio, cioè Dosson.C’è chi parla di uccelli che hanno lasciato cadere il seme di questa pianta speciale sul campanile del paese in tempi lontanissimi, chi parla di frati che hanno saputo trovare e conservare con cura questo seme, chi ancora racconta di una piantina che cresceva spontanea lungo i fossi e ai bordi degli orti finché qualcuno non scoprì la possibilità di trasformarla nel croccante radicchio per mezzo dell’imbianchimento.L’eclettico Giuseppe Maffioli (uomo di teatro, studioso di cultura veneta e gastronomo), cui la valorizzazione del radicchio trevigiano deve moltissimo, è stato il primo a cercar di dare una spiegazione verosimile alla questione.Scrive Maffioli sulla rivista Vin Veneto (n. 1/1974): «Abbiamo cercato attentamente ed assiduamente le origini e l’affermarsidel radicchio rosso di Treviso, senza tuttavia scoprire elementi certissimi, crediamo però di avere individuato abbastanza esattamente la sua data di nascita, e l’occasione della sua origine. Sin dal 1899 l’Associazione Agraria Trevigiana iniziava una serie di mercati annuali a premio, verso la metà del mese di dicembre, allo scopo di dare incremento alle tecniche per imbiancare il radicchio rosso di Treviso, la cui presenza comunque si inizia ad individuare non più di una ventina d’anni avanti, in una zona molto ristretta fra Preganziol e Dosson. Nell’area rinchiusa fra i parchi di due ville "Villa Reali" e "Villa Palazzi" (ora Taverna) sul Terraglio.Ora si dà il caso che fra il 1860 e il 1870, Francesco Van Den Borre, specializzato nell’allestire parchi e giardini giungesse dal Belgio a Villa Palazzi per realizzare uno dei più bei complessi di verde annesso ad una Villa veneta, secondo un prototipo di giardino all’inglese.Ora può essere assai probabile che Francesco Van Den Borre abbia realizzato su coltivazioni di cicorie locali le tecniche di imbianchimento già da molto in uso per le cicorie belghe, dando origine ad una delle più rinomate specialità trevigiane. L’opera di Francesco Van Den Borre è stata continuata dal figlio Aldo, nato nel 1886 e morto nel 1954, un personaggio di straordinaria umanità, che io ebbi la fortuna di conoscere sfollato in una villa veneta sul Terraglio, scrittore elegante, amico di personaggi illustri, ed entusiasta promotore di ogni iniziativa tale da migliorare la produzione agricola della Marca Trevigiana...».Ma, a parte il fatto che, come abbiamo visto, nel 1870 il radicchio di Treviso «ha già acquistato buona rinomanza in tutta Italia per la sua bellezza», è proprio qui il punto debole dell’affermazione di Maffioli. Aldo Van Den Borre infatti, figlio del presunto scopritore del radicchio, in un suo articolo apparso nella Rassegna del Comune di Treviso, Primavera 1935) si chiede:«Quale l’origine di questo radicchio unico al mondo? Nessuno storico ne ha fatto cenno, nessuno scrittore di cose agrarie e la Marca ne ha avuto di elettissimi —ne ha parlato. Certo lo si coltiva da secoli». È fin troppo evidente che se Aldo Van Den Borre avesse saputo che era stato suo padre ad "inventare" il radicchio non si sarebbe certo posto la domanda e avrebbe giustamente vantato la primogenitura di un prodotto agricolo tanto prestigioso.Viene allora in mente una delle tante storie raccolte da chi scrive queste note. Racconta Silla Bovo, un pensionato di Treviso che da ragazzo frequentava gli Artuso e i Reato, vecchi agricoltori di 5. Angelo, di aver sentito dire da loro che tutto era iniziato quando qualche contadino della zona un inverno portò a casa dei radicchi di campo ammassati in una carriola. I radicchi furono dimenticati in un angolo finché una sera, durante il filò, uno della famiglia avvicinatosi alla carriola estrasse dal mucchio una piantina e, tolte le foglie esterne ormai appassite e guaste, si trovò fra le mani con sua grande sorpresa un bel radicchio dal cuore sano e dal colore rosso vivo. Ecco, è molto probabile che la scoperta della possibilità di trasformare la varietà di cicoria invernale da sempre presente nei campi attorno a Treviso nel rosso e croccante radicchio che ora conosciamo sia dovuta ad un fatto puramente casuale, come peraltro è avvenuto non di rado in molte altre branche dell’attività umana. Ma va sottolineato come il caso non sia mai del tutto fortuito. Non si può infatti dimenticare quella che è un po’ una costante degli agricoltori, sotto tutte le latitudini: una, sia pur non appariscente, "attitudine sperimentale" — per dirla con il prof. Danilo Gasparini — che porta spesso ad autentiche scoperte, che solo più tardi vengono riconosciute, e a volte fatte proprie, da chi magari i contadini li ha sempre disprezzati.Il Veneto si può considerare ben a diritto la patria del radicchio, intendendo come tale «le forme di cicoria a foglie colorate di rosso o variamente screziate e variegate». Qui infatti ebbe origine per primo il radicchio di Treviso, che assunse importanza commerciale verso la metà del XIX secolo. E qui vi sono oggi coltivati 6.345 dei 14.577 ettari (pari aI 43,5%) complessivamente dedicati a questa coltura in Italia. Padre di tutti i radicchi è il radicchio rosso di Treviso. Da un incrocio fra di esso e 1’ indivia scarola, avvenuto sul finire dell’ 800, ha infatti avuto origne il varie gaio di Castelfranco.Dal variegato di Castelfranco, per mezzo di selezioni effettuate da ortolani chioggiotti, attorno al 1934/35, deriva il radicchio di Chioggia, variegato e rosso, il più coltivato dei radicchi non Trevigiani Alla fine degli anni Cinquanta risale invece l’origine del rosso di Verona, derivato direttamente da una selezione del rosso di Treviso.

Radicchio rosso di Treviso (Metà 800) + Indivia scarola = Variegato Castelfranco (fine 800) = Variegato e Rosso di Chioggia (anni 30) = Rosso di Verona (fine anni 50)

Dagli anni 60 in avanti il radicchio ha messo le sue radici in altre zone d'Italia e del mondo, in particolare nella piana del Fucino, zona situata a 700 m. di altitudine dove grazie al suo clima esso trova l'abitat ideale per maturarsi anche nei mesi di luglio ed agosto, dando continuità ad un mercato che si espande sempre di più.

Il radicchio di Chioggia, a maturazione commerciale, si presenta con il caratteristico grumolo a forma sferica, del diametro di circa 10cm, consistente e compatto, che a volte raggiunge un peso unitario di oltre 500 gr. Si differenzia in rosso, con foglie dalla tipica colorazione rosso-viva e varie gaio, con foglie dalla colorazione di fondo verdastra e gialla sulla quale compaiono screziature rosse, verdi, gialle o bianche più o meno estese. La sua produzione media è molto elevata e oscilla, a seconda dei tipi, fra i 120 e i 180 q.li/ettaro. Grazie all’intenso lavoro di selezione genetica cui è stato sottoposto, il radicchio di Chioggia, nei suoi vari tipi, è oggi disponibile praticamente tutto l’anno.Il radicchio rosso di Verona presenta foglie non molto espanse, di forma rotondeggiante-allungata che, con l’approssimarsi dell’inverno, da verdi o leggermente screziate virano al rosso scuro per la presenza di antocianine per poi serrarsi le une alle altre a formare il grumolo. La nervatura principale è di colore bianco. La conformazione del cespo pronto per la commercializzazione è paragonabile a quella del rosso di Chioggia, ma con dimensioni molto più contenute. Prima della commercializzazione necessita dell’imbianchimento. I cespi si prestano molto bene alla manipolazione e al trasporto grazie alla compattezza del grumolo.La semina avviene tra l’inizio di luglio (precoce) e la prima metà di agosto (tardivo), mentre la raccolta è concentrata nel periodo invernale, da novembre a febbraio. La produzione varia tra gli 80 e i 120 q.li per ettaro.Il varie gaio di Castelfranco per la sua bellezza e per la delicatezza del suo gusto è forse il più apprezzato dei radicchi veneti. Sotto l’aspetto commerciale ha però diversi punti deboli:scarsa resistenza al freddo, fragilità e delicatezza dell’apparato fogliare, produttività piuttosto bassa. Per questo, dopo un secolo di vita, la sua coltivazione continua a rimanere limitata a una ristretta area attorno a Castelfranco Veneto. La pianta viene sottoposta ad imbianchimento, durante il quale le foglie centrali si accrescono, ma non formano grumolo come tutti gli altri tipi, mantenendosi in posizione eretta o divaricata. La produzione commerciale si aggira sui 50-70 q.li/ettaro.

Radicchio.it ringrazia Giancarlo Pasin e il suo Libro "100 facili ricette con il radicchio" di cui fanno parte le notizie sopra riportate. G.D.V

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